LEPRE COMUNE: (Lepus europaeus)


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La Lepre comune: Descrizione

La Lepre comune appartiene all’ordine Lagomorpha, famiglia Leporidae, è comunemente chiamata anche Lepre europea. La Lepre comune è una specie di dimensioni intermedie, con una lunghezza corporea compresa tra 48 e 70 cm, una coda di 7-11 cm e un piede di 11-16 cm. La Lepre più grande del Coniglio selvatico e presenta orecchie più lunghe (8-14 cm). Si distingue da questo anche per l’aspetto più slanciato e l’andatura rettilinea. Il colore del manto è fulvo o bruno-rossiccio, quasi biancastro sul ventre, mai chiazzato in modo evidente, e consente di distinguerla dalla Lepre alpina durante il periodo estivo (nel corso dell’inverno le seconda presenta invece il mantello bianco). La Lepre comune ha un’andatura molto particolare: le zampe lasciano sul terreno tipiche tracce a forma di “Y”, dove i piedi posteriori sono posti in alto obliquamente, mentre le zampe anteriori sono una dietro l’altra, in basso e in posizione centrale. Costituiscono rispettivamente il punto di stacco e di atterraggio di salti in serie piuttosto lunghi. Altre tracce visibili sono le brucature, molto evidenti soprattutto nei campi di frumento e orzo tra inverno e primavera, e le feci tondeggianti nelle zone di alimentazione.

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La Lepre comune: Habitat e areale di diffusione

La lepre comune vive dalle zone di pianura fino a circa 1500 m di quota e, talvolta, fino ai 2000 m s.l.m. sulle Alpi (2600 m sull’Appennino). Frequenta diverse tipologie di habitat: coltivi, formazioni boschive rade, prati e incolti. La lepre è un animale solitario; dei gruppi (comunque di piccole dimensioni) si formano soltanto durante l’epoca dei corteggiamenti. La lepre attiva perlopiù nelle ore al tramonto e di notte, quando è più facile incontrarla negli spazi aperti, soprattutto prati, dove è dedita ad attività alimentari. Nelle aree poco disturbate la si incontra anche durante il giorno. Per il riposo la lepre comune utilizza cespugli e margini di bosco, siepi e aree fittamente ricoperte di vegetazione. Nella dieta sono comprese numerose specie vegetali selvatiche e coltivate, ma anche germogli di arbusti e cortecce di alberi. La riproduzione va da febbraio a settembre, periodo in cui possono verificarsi da 3 a 5 parti; la gestazione dura circa 40 giorni e i piccoli nascono in numero di 1-6 per cucciolata. Le femmine di lepre possono essere fecondate quando la gravidanza è già in corso: in questo modo i numeri possono aumentare notevolmente. L’areale europeo si stende dai Paesi occidentali fino alla Siberia e all’Asia sud-occidentale, con poche lacune ai limiti nord e sud dell’areale. In Italia le lepre è diffusa in tutto il territorio peninsulare ed assente da Sicilia e Sardegna, dove è sostituita rispettivamente da Lepre italica e da Lepre sarda. Sull’Arco Alpino è rimpiazzata dalla Lepre alpina.

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La Lepre comune: Dimensione e andamento delle popolazioni

I contingenti europei oscillano tra 0,2-0,7 individui di lepre per ettaro e molti sono considerati stabili o localmente in moderato decremento (Mitchell-Jones et al., 1999). Pur non disponendo di sufficienti dati quantitativi sulle dimensioni, negli ultimi 50 anni le popolazioni italiane di Lepre comune sono ritenute in graduale declino, come accade anche in molti altri Paesi europei.

La Lepre comune: Conservazione e gestione

La lepre comune non presenterebbe problemi di conservazione. Esiste però un fenomeno ormai noto di declino, dovuto in parte alla caccia intensiva alla lepre non regolamentata, in parte all’incremento delle pratiche monoculturali intensive, che sottraggono diversità all’ambiente (Prigioni et al., 2001). Anche la presenza dell’uomo influenza negativamente la specie, soprattutto in termini di incremento della rete stradale e di aumento del traffico, che determinano investimenti e frazionamento dell’habitat (Spagnesi & De Marinis, 2002). Le popolazioni delle lepri sono stabili in alcune aree protette, dove sono state mantenute le tecniche dell’agricoltura tradizionale. Si è spesso ricorso anche a ripopolamenti con soggetti allevati o di importazione (35-40.000 individui all’anno), che non hanno dato risultati apprezzabili, ad eccezione di un temporaneo incremento subito dopo le immissioni; la pratica aumenta al contrario la vulnerabilità delle popolazioni originarie alle malattie e ai parassiti, oltre a provocare inquinamento genetico, ed è pertanto da sconsigliare (Prigioni et al., 2001).